Una sfida

Una sfida

C’era una volta un pomeriggio solitario di Gennaio. Correva l’anno 2015.

Avrei voluto tanto che corresse da un’altra parte l’anno 2015: dopo una separazione complessa nel 2012, due figli piccoli, due licenziamenti nel giro di due anni, stavo risollevando la testa quanto meno affettivamente, quando l’ennesima porta si era chiusa. Era partito malissimo il 2015.  Se ne stava andando il Natale, con tutto il dolore del Natale per le persone sole, con tutta la frustrazione che solo il Natale può portare a chi si sente uno sconfitto o un “rinunciato dalla vita”.

Io così mi sentivo a 38 anni, mi sentivo una rinunciata. Non avevo voglia di reagire, non avevo voglia di farmi ragioni dell’abbandono subito, non avevo voglia nemmeno più di me. Guardavo i figli con questo pensiero frequente “scusate, avete una madre sconfitta”.

In questo disperato umore ricordo di aver pensato di privarmi del dono più bello che avevo ricevuto da quella persona che se n’era andata, la bicicletta, quella stessa bicicletta che adoravo tanto quanto la persona che me l’aveva portata. Non era una bici per me. Era la mia strada nuova, il mio polmone che si apriva, la carezza di una giornata fra le difficoltà. Dovevo abbandonarla sul ciglio della strada e chiuderla fuori dalla mia vita, anche se abbandonarla era come tagliarmi una gamba. Dovevo assolutamente comprare una bici nuova, senza pietà alcuna, sostituendo la rinuncia subita più velocemente possibile.

Ricordo di aver aperto con rabbia e foga uno dei tanti siti di vendite on line e di essermi imbattuta in uno spettacolo di bici nera. Senza pensarci  mi sono lanciata ad inviare messaggi al proprietario dello spettacolo nero, certo Daniele. Abbiamo scambiato qualche opinione attraverso il sito di vendite.

Una frase ha bloccato la mia disperazione, istantaneamente.  Ha scritto “privarsi di un pezzo di  sè è una cosa terribile”.

Credo di aver smesso di produrre tossine negative e malate contro la vita e contro la “sfortuna” che si accaniva contro di me da anni.

Privarsi di un pezzo di sé è una cosa terribile. Non ho venduto la bicicletta, ne ho prese altre due però, questo sì.

Purtroppo ci viene chiesto, a volte, di superare la nostra paura più grande, di farci i conti, di affrontare l’ostacolo, anche se sempre invalicabile.

Io ho scelto a Gennaio 2015, di provarci, attraverso le nostre pagine. Il mio libro con e per Daniele è partito da una tentata sconfitta.

Non è mai stato solamente un libro, così come per me la bici non era solo una bici, ma due ruote in bilico fra anima e corpo. Non è un libro, è il racconto di un uomo, le cui lacrime si sono trasformate in chilometri di strada attraversata e vissuta per non abbandonare nel silenzio un pezzo di sé, il tumore e anche il cuore di chi gli è stato accanto in quei momenti. E’ un altare dove si sposano, la paura di non poter più parlare e la voglia di urlare l’amore per la vita, dove si incontrano il coraggio e l’umiltà di chi sa di aver perso per sempre la “normalità”.

Non è un manuale di resistenza o di resilienza o un manuale solo per appassionati sportivi.

E’ un manuale per chi sta perdendo, per chi si sente o si è sentito rinunciato e immerso nel peggiore dei tumori, la solitudine.

Maddalena Beda

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