Moralità? È questione di cultura

Moralità? È questione di cultura

Spesso mi domando perché l’uomo non abbia mai saputo trovare il modo di condividere la terra e l’insieme del creato con se stesso. Ossia, l’Umanità, considerato come genere unico, dovrebbe aver potuto vivere in pace, in maniera del tutto naturale, essendo un complesso di simili, pur nella diversità fisica e personale, attraverso un’equa e giusta distribuzione delle cose terrene ad essa affidate.  Invece è grave che l’immensa ricchezza interiore degli uomini sia stata sempre utilizzata, quasi normalmente, a fini egoistici. Già dalla sua genesi la mano di Caino si levò alta nell’aria per colpire il proprio fratello. Viaggiando nella letteratura di tutti i tempi si trovano emblematici esempi d’immoralità umana e civile. Forse perché sto scrivendo per un giornale della Sicilia, terra ricca di storia e di cultura, che mi viene in mente il protagonista verghiano de “La roba” che afferma “questa è la mia roba!”. Questa frase mi verrebbe quasi da scriverla con la doppia “b” per rafforzarne il senso.

Così come emblematica è la moralità presente nei poemi della mitologia greca in particolare. Leggendo e studiando questi poemi epici, mi riferisco all’Iliade, all’Odissea e all’Eneide, ci si rende subito conto che non esiste un poema epico senza eroi. Ma chi è l’eroe? Per me è un personaggio abbastanza controverso che rappresenta e incarna gli ideali, la storia, la vita, le aspirazioni sociali e morali della società che l’ha forgiato, che combatteva contro le forze della natura per proteggere i suoi simili, ma anche scatenava la sua ira contro altri popoli con obiettivi non proprio nobili. Purtroppo gli uomini impararono ben presto a maneggiare le armi non solo per domare le avverse forze della natura, ma sciaguratamente anche per soggiogare e opprimere altri uomini: nacque così l’eroe guerriero. La guerra fin dai tempi più remoti divenne in tal modo una componente dell’umanità, non c’è periodo della storia in cui la guerra non compaia. La pace è stata l’ansiosa costante aspirazione di tutti i popoli che invece hanno visto nella guerra l’effetto delle passioni scatenate, la cupidigia, l’avarizia, soprattutto la sete di potere. La guerra è dura realtà che pone l’uomo di fronte a scelte decisive e può trasformarlo in eroe, positivo raramente, negativo quasi sempre. Ciò che interessa ai poeti non è però la guerra in se stessa, ma l’uomo posto di fronte a quella suprema prova che la guerra rappresenta. Già nell’epoca omerica, che è la più antica manifestazione di epica nel mondo occidentale, il tipo di eroe non è affatto unilaterale, c’è l’eroe della forza e l’eroe saggio, c’è quello assetato di gloria e di preda e quello che accetta la guerra come duro dovere, c’è il vincitore e il vinto. Nell’Iliade Achille rappresenta il guerriero della forza, spietato, il vincitore, e avvezzo alla guerra. Ma il vinto Ettore presenta una grande maturità umana, egli sente e apprezza i valori degli uomini e degli affetti familiari, è un eroe che ama la pace ed è costretto a fare la guerra. Finirà oltraggiato e offeso sia nella sua natura morale che fisica, e questo fa di lui la vera rappresentazione dell’eroismo morale.

Attualmente la società universale vive un periodo oscuro, indecifrabile e indefinibile, privo di punti di riferimento precisi che possano indicare un varco per uscire da una crisi che prima d’essere economica e politica, è crisi dei valori. È una storia vecchia, come abbiamo visto, ma fa sempre male, anche perché gli uomini si ostinano a non dare alla cultura il suo giusto peso. La cultura forma i popoli e li aiuta a progredire nella giustizia, e dove non c’è giustizia inevitabilmente non può esserci la pace.

Forse è utopia. Ma si sa, solo i poeti possono dar fastidio con la loro utopia.

 

Antonio Ragone

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