Ci sono storie che si raccontano con le parole, e altre che prendono forma nei gesti quotidiani: una mano che impasta, un sugo che sobbolle piano, una tavola che si apparecchia come si farebbe con un altare.
In queste pagine, la pasta asciutta – nelle sue infinite varianti catanesi – diventa protagonista di un racconto poetico che non parla solo di cibo, ma di identità, di resistenza culturale, di amore tramandato tra le generazioni.
Questa raccolta nasce da un’urgenza: dare voce alla memoria attraverso il gusto, celebrare il patrimonio invisibile delle cucine familiari, dei pranzi della domenica, dei piatti “poveri” che hanno saputo fare ricchezza con poco.
Ogni poesia è un omaggio alla lentezza, all’ingegno popolare, alla sacralità del nutrimento. Il cibo, qui, è parola che si mastica, è verso che profuma di basilico, di aglio dorato, di mare e di terra.
Ma questo libro è anche un atto d’amore per la città di Catania, per le sue contraddizioni e per la sua straordinaria capacità di trasformare la fatica in festa. È dedicato a chi, oggi come ieri, resiste cucinando, custodendo la semplicità come un valore e la tradizione come un seme da piantare nel presente. La poesia diventa così piatto caldo e carezza, filo che lega chi cucina a chi mangia, chi ricorda a chi viene dopo.




