Le tradizioni – ahimè – lasciano spazio a freddi momenti incapaci di suggellare attimi, le ore, fugaci e ripetitive, scandiscono giornate che non ricordiamo facilmente. Odori uguali ad altri, sapori che non lasciano il segno. È la nostra vita ai tempi del 2.0.
Ricordiamo, invece, con calore e con autentici sorrisi quell’infanzia scolpita da momenti semplici. La letteratura, l’arte, la musica, rimangono pur sempre lo scrigno dal quale attingere emozioni autentiche. Catania, le sue tradizioni, i suoi termini dialettali, i vicoli, le feste. I saloni da barba. I barbieri. Quei saloni in cui ritrovarsi perché “non ci si ammalava mai di stress” scrive Santo Privitera nella prefazione di un libro che ognuno di noi dovrebbe custodire nella propria libreria “U tempu di farimi a varva” di Torquato Tricomi, edito da Edizioni Akkuaria.
Appassionato e studioso di usi e costumi e tradizioni popolari, Tricomi crea nel 2009 con Turi Pappalardo, il Duo da barba che vedrà la pubblicazione dell’album “Pelo e contropelo”. In questo splendido libro, l’autore, traccia un percorso storico, divertente, emozionale, per far conoscere le origini e le evoluzioni di una figura di cui oggi si parla davvero poco. Torquato Tricomi, attraverso questo testo dimostra di essere non solo un bravissimo musicista, ma un abile scrittore capace di condurre il lettore all’interno di quei saloni. “Il barbiere era depositario di saggezza popolare, dispensatore di insegnamenti”, a lui si rivolgevano non solo per farsi accorciare i capelli o radere la barba, ma per assistenza medica, emotiva, e inoltre – non tutti sanno – che si trattava di un vero e proprio artista, capace di adoperare magistralmente, non solo forbici e pettini ma anche note e mandolino, era un cantastorie, un narratore che spesso veniva saldato con prodotti della terra. Dai racconti di Tricomi si evince la fiducia, la riconoscenza, la fratellanza, il rispetto. Un percorso ricco di storia, di curiosità, di odori inebrianti che ci riportano lontano, alla Sicilia delle serenate, delle superstizioni. Il barbiere era il confidente, l’addetto matrimoniale, e questa opera di Torquato Tricomi sembra quasi un taccuino nel quale curiosare gli appunti di una vita, preziosi ricordi da raccontare alle nuove generazioni e far sognare quelle vecchie.
L’autore rivela delle chicche interessanti, le origini dei famosi “calendarietti tascabili”, la storia del santo protettore dei barbieri San Martino de Porres.
Una lettura che delinea i segni del tempo, di ciò che è stato, di ciò che custodiamo gelosamente pur avanzando di fretta in questo astratto presente, un libro che vi conquisterà sin dalle prime pagine, dall’overture dello scrittore Alessandro Russo, che ripercorre una delle conversazione con l’autore: “Ti dirò, Alessandro, mi sembra di convivere con questi personaggi come fossero tutti, parte di un sogno”.
– Quanto incide, nella formazione di ognuno di noi, il legame con la tradizione?
«Le radici di un popolo rappresentano il passato e la nostra storia. E’ fondamentale che i bambini d’oggi conoscano come vivevano i nostri avi, le loro abitudini, i loro costumi e i loro mestieri».
– Cosa è rimasto, oggi, di quelle serenate, di quegli odori da “salone”?
«Delle dolci serenate al chiaro di luna non è rimasto nulla. L’amore oggi nasce su internet dal momento che la nostra società e proiettata esclusivamente verso i computer. Al tempo delle serenate la donna era corteggiata in maniera discreta: era quasi sacra. C’era rispetto e il matrimonio era per sempre. I giovani d’oggi, invece, non sanno neanche l’esistenza delle serenate nè come si svolgevano. C’era una volta il barbiere musicista chiamato a fare le serenate dai giovanotti innammorati. Assieme ad amici suonatori si prestava a svolgere questa delicata mansione. Insomma gli odori dei saloni da barba oggi purtroppo, non ci sono più».
– Che legame ha con la sua sicilianità?
«Io adoro tutto quello che c’è di sano e buono in questa nostra isola. Amo Vincenzo Bellini, il teatro dei pupi, i carretti e loro pitture che di fanno sognare, i cantastorie, a “cona di natali” a “festa de motti” e il nostro dialetto. E poi, la pasta alla norma, gli arancini, la gelatina di maiale al limone, gli sfinci, i cannola unni i metti?»
Katya Maugeri